 |
CENSURA 2005 di Peter Phillips e Project Censored
 ... se preferite i giornalisti che escono dal coro, ecco il libro che fa per voi:
notizie scottanti, verità raggelanti, assolutamente non censurate - Greg Palast
Scheda e indice - Acquista (-20%)
|
|
|
 |
 |
 |
|
 |
 |
 |
|
 |
 |
Iscriviti alla nostra
News Letter per essere sempre aggiornato sulle ultime novità.
|
|
 |
 |
Ci sono 4 visitatori e 0 Iscritti on-line
|
|
 |
|
 |
|
 |
 |
di Naomi Klein
La popolarità del marchio "Usa" è in calo. Invece di cambiare la sua politica estera, il presidente Bush cambia il suo racconto.
|
Marzo 2005, un martedì: George Bush sale sul pulpito per illustrare il suo piano di lotta al terrorismo nel mondo arabo con l'arma democrazia. Stesso giorno: McDonald's lancia un'enorme campagna pubblicitaria che incita gli americani a combattere l'obesità mangiando sano e facendo esercizio. Qualsiasi somiglianza fra la "sfida all'americano: diventa attivo!" e la "sfida all'arabo: diventa democratico!" è puramente casuale.
Di certo, c'è un non so che d'ironico nell'essere incoraggiati ad abbandonare la poltrona proprio dall'azienda che ha reso famoso il "drive-through" permettendo ai suoi clienti di mangiarsi un bel mac-attacco di cuore senza nemmeno scendere dalla macchina e fare due passi alla cassa.
E quel non so che lo ritroviamo anche nell'incoraggiamento di Bush alle popolazioni del Medioriente, incitate ad abbandonare "la maschera della paura" perché "la paura è il fondamento di ogni dittatura", quando essa è il diretto risultato delle ripetute decisioni americane di installare e armare quegli stessi regimi che terrorizzano sistematicamente queste popolazioni da decenni. Ma, trattandosi in entrambi i casi di campagne di "rebranding", i fatti non contano.
L'amministrazione di Bush nutre da lungo un amore particolare per l'idea di poter risolvere complesse questioni politiche prendendo in prestito gli stessi moderni strumenti di comunicazione usati dagli eroi del mondo delle imprese. La rock star irlandese Bono ha recentemente conquistato improbabili fan della Casa Bianca presentando la miseria di alcune parti del mondo come un'opportunità per i politici statunitensi di diventare migliori "venditori". « Il Brand USA è in pericolo... è un problema per il business», Bono ha messo in guardia al World Economic Forum di Davos. La soluzione? «Forniamo una nuova immagine di noi stessi ad un mondo che non è sicuro dei nostri valori».
L'amministrazione di Bush non potrebbe essere più d'accordo, come dimostra la frenesia di "re-immagine" che attraversa ultimamente la politica estera americana. Ma, di fronte ad un mondo arabo furioso con gli Stati Uniti per l'occupazione americana dell'Iraq e per il cieco sostegno ad Israele, la soluzione non è rivedere tali brutali politiche: è "rivedere la storia".
L'ultima storia del Brand USA è stata lanciata il 30 gennaio scorso, il giorno delle elezioni irachene, completa di tag line accattivante con la scritta "purple power", immagini dal significato simbolico immediato (mani viola) e, ovviamente, un nuovo racconto sul ruolo dell'America nel mondo, generosamente riportato e ripetuto dal brand manager non ufficiale della Casa Bianca, il cronista del New York Times Thomas Friedman. «Il quadro iracheno è stato ritoccato: dalla storia dei "rivoltosi" iracheni che combattono per liberare il loro paese dagli occupanti americani e dai loro connazionali "tirapiedi", a quella di una schiacciante maggioranza irachena che sta cercando di costruire una democrazia con l'aiuto degli Stati Uniti, contro il volere dei fascisti e dei jihadisti del gruppo ba'athista iracheno».
E questa nuova storia è talmente contagiosa, ci dicono, che ha provocato un effetto domino simile alla caduta del muro di Berlino e alla fine del comunismo (anche se, in questa "primavera araba" l'unico muro che si vede, in piedi eccome, è il muro dell'apartheid di Israele). Come in tutte le campagne di branding, il potere sta nella ripetizione, non nei dettagli. Gli scricchiolii di contraddizioni (Bush si sta prendendo il merito della morte di Arafat?) ed ipocrisie (gli occupanti contro l'occupazione!) indicano solo che è ora di narrare nuovamente la storia, più forte e più lentamente, in quell'insopportabile stile da guida turistica. Pur con Bush che ora sostiene che "l'Iraq è un esempio per l'Iran e le altre nazioni", ci sembra valga la pena soffermarci sulla realtà di questo "esempio iracheno".
Dopo il rinnovo, per il quinto mese successivo, dello stato di emergenza Human Rights Watch riportava di torture sistematiche nelle prigioni irachene. Il doppio incubo della giornalista italiana Giuliana Sgrena ha è stato una sorta di finestra sul mondo di terrore in cui ogni semplice cittadino iracheno si trova intrappolato: la vita di tutti i giorni è u perpetuo oscillare fra la paura di essere rapiti od uccisi da connazionali iracheni e quella di essere atterrati dai colpi americani ad un checkpoint.
Nel frattempo, gli attuali litigi sulla composizione del prossimo governo iracheno, malgrado la chiara vittoria dell'Alleanza irachena unita, testimoniano la non democraticità del sistema elettorale escogitato da Washington. Terrorizzato al pensiero di una maggioranza di iracheni al governo del loro stato, l'ex plenipotenziario americano Paul Bremer ha fissato delle regole elettorali che garantissero ai Curdi, alleati degli Stati Uniti, il 27% dei seggi dell'assemblea nazionale, sebbene essi rappresentino solo il 15% della popolazione.
Per piegare meglio la situazione a proprio favore, la costituzione provvisoria redatta dagli Stati Uniti prevede che tutte le principali decisioni debbano essere appoggiate da almeno due terzi o, in alcuni casi, tre quarti dell'assemblea, cifra assurdamente alta, che dà ai curdi la facoltà di bloccare qualsiasi richiesta di ritiro delle truppe, qualsiasi tentativo di respingere gli ordini economici di Bremer e qualsiasi sezione di una nuova costituzione.
I curdi iracheni hanno tutto il diritto di reclamare la propria indipendenza e di temere di diventare un bersaglio etnico, ma alleandosi con loro, l'amministrazione Bush si è di fatto garantita un veto sulla democrazia irachena, veto che è attualmente sfruttato per assicurarsi un piano di emergenza nel caso dell'insistenza irachena di voler sgombrare l'occupazione.
Le trattative per la formazione di un governo sono ferme alla richiesta curda del controllo su Kirkuk che, se ottenuta, garantirebbe ai curdi il controllo degli enormi giacimenti petroliferi della regione. In tal modo, se le truppe straniere vengono cacciate dall'Iraq, il Kurdistan iracheno può agire separatamente e Washington avrà almeno un regime dipendente ricco di petrolio, anche se più piccolo rispetto a quanto previsto inizialmente dagli architetti della guerra.
Nel frattempo, il trionfalismo della libertà di Bush nasconde il fatto che, nei due anni trascorsi dall'invasione, il potere dell'Islam politico è aumentato esponenzialmente, mentre le profonde tradizioni secolari dell'Iraq sono state profondamente erose. Tutto questo deriva dalla pessima decisione di "corredare" all'invasione militare secolarismo e diritti della donna. Tutte le volte che a Bremer era necessario divulgare un'idea di successo e buone notizie, si faceva riprendere ad un centro per la donna appena inaugurato, mettendo abilmente sullo stesso piano il femminismo e l'odiosa occupazione americana (i centri per la donna sono ora per la maggior parte chiusi, e centinaia di iracheni che hanno lavorato con la coalizione nei comuni locali sono stati giustiziati). Ma il problema del secolarismo non è solo colpevole per associazione: la definizione di liberazione imposta da Bush priva le forze democratiche dei loro strumenti più potenti.
La sola idea che ha sempre saputo resistere ai re, ai tiranni e ai mullah mediorientali, è la promessa della giustizia economica, da realizzare tramite politiche nazionaliste e socialiste di riforma agraria e controllo statale del petrolio. Nei pensieri di Bush non c'è posto per tali idee: per lui, la gente libera è solo libera di scegliere il cosiddetto libero mercato, lasciando ai democratici poco da offrire, se non parole vane di "diritti umani", arma purtroppo debole contro le potenti spade della gloria etnica e dell'elevazione eterna.
Dopotutto però, non sorprendiamoci troppo che l'amministrazione Bush racconti storie di impegno e trionfo della libertà, e al tempo stesso faccia del suo meglio per sabotare la democrazia nel paese stesso che proclama di avere liberato. Corre voce che anche McDonald's continui a servire Big Mac...
Fonte: http://www.zmag.org/italy/klein-usaintrouble.htm
|
|
|

|
|
|
 |
Iscriviti alla nostra
News Letter per essere sempre aggiornato sulle ultime novità.
|
|
 |
 |
Ultimi articoli pubblicati |
|
 |
|